Consiglio di Stato: Redditi dell’ex senza segreti se sono utili nella causa di divorzio
Si possono ottenere dal fisco le informazioni su reddito e patrimonio dell’ex coniuge se i dati servono a difendersi nelle cause di separazione o divorzio; è ampia, infatti, la nozione di documento amministrativo cui va garantito l’accesso al cittadino in base alla legge sulla trasparenza, al punto da comprendere l’archivio dei rapporti finanziari, vale a dire l’anagrafe dei conti correnti, accanto alle denunce fiscali e agli immobili di proprietà affittati a terzi. Il tutto anche senza l’autorizzazione o l’intervento del giudice: viaggiano su due piani distinti l’ostensione dei documenti in possesso dell’amministrazione finanziaria e l’esercizio dei poteri processuali e istruttori.
Lo stabilisce l’adunanza plenaria del Consiglio di stato con la sentenza 19/2020, pubblicata il 25 settembre: si chiude dunque un contrasto di giurisprudenza che andava avanti da due anni.
Ostensione utile. Bocciato il ricorso dell’Agenzia delle entrate: diventa definitiva la sentenza che autorizza la moglie impegnata nella causa di separazione a ottenere documenti sul conto del marito come le denunce fiscali, i dati raccolti sui contratti registrati e l’anagrafe dei conti correnti. E ciò perché l’ostensione deve ritenersi «oggettivamente utile» alla tutela nelle sedi giudiziarie e va garantita anche sui documenti formati da privati ma in possesso dell’amministrazione: riguardano, in effetti, un’attività di pubblico interesse.
Il fatto che il giudice della crisi familiare abbia ampi poteri d’ufficio per acquisire le informazioni contenute nell’anagrafe tributaria non preclude l’iniziativa della parte, che anzi può servire a sollecitare interventi d’ufficio in base a elementi specifici, altrimenti preclusi. Il tutto mentre la modalità di ricerca telematica dei beni ex articolo 492 bis cpc costituisce soltanto un ampliamento dei poteri istruttori del giudice e non esclude l’accesso in base alla legge sulla trasparenza amministrativa, la 241/90.
Funzioni istituzionali. Non c’è dubbio che il privato possa accedere in base agli articoli 22 e seguenti della legge sulla trasparenza a dichiarazioni fiscali dell’ex, atti compiuti in banca come delegato e contratti registrati anche quando si tratta di documenti formati da terzi: servono comunque all’amministrazione finanziaria a esercitare le funzioni istituzionali ex articolo 1, secondo comma, del dpr 605/73.
Non convince affatto la tesi secondo cui l’accesso agli atti amministrativi dovrebbe recedere di fronte agli strumenti messi a disposizione per l’acquisizione delle prove nel processo civile. Anzi: sono gli strumenti istruttori che hanno natura sussidiaria rispetto alla possibilità, pratica o giuridica, che ha la parte di procurarsi da sé, al di fuori del processo, le prove precostituite per dimostrare i fatti allegati.
Insomma, deve considerarsi residuale il potere del giudice di ordinare l’esibizione di documenti ex articoli 210 e 211 cpc o di formulare richieste alla pubblica amministrazione ex articolo 213 Cpc. Altrettanto vale per gli specifici poteri d’ufficio per acquisire documenti offerti al giudice della cause in materia di famiglia, che possono essere esercitati soltanto se la parte ha fatto tutto quanto in suo potere per documentare i fatti che vuole dimostrare: è invece escluso che vadano a colmare carenze probatorie.
Accolta la domanda proposta dalla moglie: l’amministrazione finanziaria ha 30 giorni per mostrare alla richiedente i rapporti che l’ex marito ha intrattenuto negli ultimi dieci anni con intermediari finanziari in qualità di delegante o delegato. E ciò perché la donna ha un interesse giuridico concreto e attuale da tutelare.
L’istanza, d’altronde, è compatibile con l’articolo 7, comma sesto, del dpr 605/73, che impone a istituti di credito, società di gestione del risparmio, fondi pensione e aziende analoghe di comunicare all’anagrafe tributaria le operazioni compiute dai contribuenti al di fuori da rapporti continuativi. Le Entrate devono consentire l’accesso a tutti i documenti che si trovano semplicemente interrogando le sue banche dati.
Il punto è, spiega la sentenza 565/19 pubblicata dal Tar Catania, che il diritto di difesa dalla controparte non risulta violato dall’ostensione: le carte del fisco non sono automaticamente acquisite al processo ma devono essere vagliate dal giudice civile. Diversamente si dovrebbe instaurare una controversia al buio, col rischio di pagare le spese, sperando che il giudice eserciti i poteri istruttori. L’orientamento di giurisprudenza che puntava a tutelare la privacy con l’avvento di Gdpr negava l’accesso al documento in possesso dell’amministrazione tutte le volte che il privato può ottenerlo su ordine del giudice. Ma la regola, osserva il collegio, dovrebbe allora valere anche nelle cause fra il privato e l’amministrazione.
Il padre, stabilisce tuttavia il Tar Latina nella sentenza 29/2019, non potrà sapere quanto guadagnano i figli maggiorenni perché in sede civile è proposta soltanto nei confronti della ex moglie la domanda per la revisione degli accordi divorzili. Viene accolto il ricorso dell’ex marito: il fisco deve rilasciare al richiedente le carte entro 30 giorni. E ciò perché la domanda di ostensione non proviene da uno qualunque ma da un soggetto che ha un interesse attuale e concreto a curare i propri interessi in giudizio: reale la necessità di tutela laddove la parte deve conoscere la posizione finanziaria del coniuge consultando i documenti dai quali emergono redditi e patrimoni.
L’obiettivo è suffragare la domanda di modifica per i provvedimenti adottati in sede di divorzio: secondo l’uomo la ex e le figlie svolgerebbero attività lavorativa in via continuativa. Il diritto ad acquisire le copie della dichiarazione dei redditi della signora è affermato in base agli articoli 3, 24 e 97 della Costituzione secondo cui l’amministrazione deve fornire l’informazione qualificata.
Arma in più. Sarebbe d’altronde «paradossale» consentire l’ostensione dei documenti a chi deve tutelare i propri interessi giuridici solo prima che l’azione sia proposta e obbligarlo invece a sottostare alla valutazione discrezionale del giudice civile a procedimento in corso.
Insomma, chiarisce il Tar Lazio nella sentenza 366/19, le esigenze di tutela invocate sugli interessi economici e l’assetto della famiglia devono prevalere o almeno essere contemperate rispetto al diritto alla privacy dell’altro coniuge. Trova ingresso, infine, il ricorso del marito che vuole risparmiare sugli 800 euro al mese che versa alla moglie per il mantenimento dei figli: lamenta movimenti anomali sul conto corrente della signora e ora può avere notizia dei rapporti intrattenuti dall’interessata con le banche per circa sei anni.
Fonte: Italia Oggi del 2 novembre 2020
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