Non basta la lesione della privacy per ottenere risarcimento del danno
Il fatto che il Garante della protezione dei dati personali riconosca che l’interessato ha subìto una violazione della propria riservatezza, non comporta che quest’ultimo abbia automaticamente diritto ad ottenere un risarcimento del danno.
Lo ha evidenziato il caso di un uomo il cui volto era stato suo malgrado inserito in un servizio televisivo come persona che avrebbe posto in essere un tentativo di truffa, e per tale ragione si era rivolto all’Autorità per la privacy, la quale aveva effettivamente accertato un trattamento illecito dei suoi dati personali con la diffusione dell’immagine avvenuta in violazione degli articoli 10 cc e 96 e 97 Legge 633/41.
Il Garante aveva inoltre ipotizzato che il ricorrente, avendo successivamente subìto una diminuzione degli affari a seguito di tali circostanze, avesse potuto rivolgersi al tribunale competente per chiedere un risarcimento.
Forte della pronuncia del Garante l’uomo aveva quindi deciso di costituirsi parte civile per ottenere un cospicuo risarcimento dei danni, quantificato dai suoi legali in “almeno 420.000 euro”.
Tuttavia, quando il caso è arrivato in Cassazione, con l’ordinanza numero 2685 del 30 gennaio 2023, i giudici della suprema corte hanno ritenuto che la contrazione degli affari riscontrata dal ricorrente si sarebbe verificata in ogni caso, vale a dire anche senza la diffusione della sua immagine divulgata nel corso della trasmissione televisiva.
Come riporta un articolo pubblicato sulla testata giuridica Studio Cataldi che tratta il caso, “secondo i giudici la diffusione della notizia è stata perfettamente lecita in virtù del diritto di cronaca. Al contrario, l’illecito è consistito nel raffigurare, all’interno del filmato, l’immagine dell’interessato in quanto dato personale eccedente rispetto alla finalità di divulgazione della notizia. Sarebbe stato sufficiente citare i nomi dei soggetti coinvolti nella vicenda, senza necessariamente mostrarne anche il volto. Tale illecito, però, non comporta in automatico un risarcimento del danno a seguito della diminuzione della mole di lavoro.”
La Cassazione, ha quindi respinto le richieste dell’interessato, ricordando che anche nei casi in cui sia stato accertato un illecito trattamento di dati personali, il risarcimento del danno non scatta in automatico ma deve essere adeguatamente dimostrato.
Articolo ripreso da FederPrivacy