Google deve pagare un maxi risarcimento da 392 milioni di dollari per aver ingannato gli utenti sulla geolocalizzazione

Era stato accusato di aver ingannato gli utenti sulla privacy inducendoli a pensare erroneamente che per disattivare il rilevamento della loro posizione bastasse disattivare la funzione nelle impostazioni del proprio account, quando invece Google continuava a geolocalizzarli raccogliendo questo tipo di informazioni. E adesso il colosso tecnologico della Silicon Valley dovrà pagare un maxi risarcimento di 392 milioni di dollari.

Google, agli Usa 392 mln per violazione privacy

Come riporta il New York Times, a seguito di un’indagine durata quattro anni, adesso Google ha infatti concordato il risarcimento record con una coalizione di procuratori generali di 40 stati americani, assumendosi anche l’impegno di rendere finalmente più chiare le informazioni sul tracciamento della posizione a partire dal 2023.

Da tempo le associazioni per la tutela della privacy dei consumatori protestavano sul fatto che il rilevamento dei dati sulla geolocalizzazione degli utenti persistesse anche dopo la disattivazione della funzione e potesse rivelare la loro identità benché le aziende tecnologiche affermassero che invece tali dati erano resi anonimi.

I procuratori generali hanno però ribadito che attraverso l’ampia gamma di servizi come il motore di ricerca, le mappe e le app che si connettono al wi-fi e alle torri dei telefoni cellulari, Google ha continuato ad accumulare e archiviare una cronologia intricata di tutti i movimenti degli utenti, e fino a maggio del 2018 avrebbe addirittura tracciato la posizione degli utenti che si erano disconnessi dalle app di Google.

Secondo il quotidiano americano, mentre in Europa da quattro anni è stato introdotto il GDPR, negli Usa invece perdura un vuoto normativo da parte dei legislatori federali che non sono riusciti a dare la luce una normativa che tuteli la privacy dei propri cittadini, complici gli eserciti di lobbisti che si sono adoperati per cercare di annacquare o mandare in soffitta le proposte di legge su cui il Congresso e le autorità di regolamentazione hanno spesso litigato sui dettagli, così allo stato attuale esistono solo regole sulla privacy frammentarie che sono state emanate in alcuni stati tra cui California, Colorado e Virginia.

Benché vi sia un ampio sostegno bipartisan per una sorta di legislazione federale sulla privacy, repubblicani e democratici sono infatti in disaccordo da quasi un decennio sulle ripercussioni negative che potrebbero verificarsi sul ricco modello di business dei giganti tecnologici statunitensi se fosse adottato un impianto normativo simile al GDPR.

 

Articolo ripreso da FederPrivacy